Ricordi d’estate

 Ricordi d’estate

L’estate è la mia Madeleine. Mi basta un morso per ritrovare odori, sapori e sensazioni del passato

Uno dei ricordi più nitidi è la sensazione di fresco e pulizia che mi accoglieva al rientro dalle vacanze. La sento ancora sulla pelle, e posso rivedere il buio della città, sentire il silenzio della notte. 

C’è una roulotte parcheggiata in una via larga, sotto un lampione. Se non fosse per noi quattro la strada sarebbe deserta, e regnerebbe il silenzio. Ci muoviamo piano, e non è solo la stanchezza del viaggio. Dopo qualche settimana fuori, ci sentiamo un po’ estranei: portiamo addosso la polvere di un altro paese, la sabbia di un altro mare, odori e sapori che non ci appartengono. E poi è tardi, ci piace rincasare quando l’ora di cena è passata da un pezzo, perché così ci godiamo il viaggio fino all’ultimo. L’aria odora di fresco, e risuona del canto dei grilli.

L’atrio di casa sembra immenso. Il nostro sguardo fa capolino nella cassetta della posta, alla ricerca delle cartoline degli amici. Si salgono le scale leggendo i messaggi dai viaggi degli altri e pensando a quando loro riceveranno i nostri. Con la stessa sensazione di estraneità con cui siamo scesi dall’auto entriamo in casa. Dopo diverse settimane di condivisione di uno spazio ristretto, tra la polvere del campeggio e l’odore di zampirone, entrare in una casa profumata e riappropriarsi ognuno dei suoi spazi è un gesto difficile. Le tapparelle sono abbassate, i tappeti spariti, le lenzuola ben tese sul materasso: ma è davvero la nostra casa? Sembra fredda, così pulita e silenziosa. Ma io ho il mio cuscino in mano, allora lo appoggio sul letto e la notte sembra meno buia. Posso addormentarmi e sognare il prossimo viaggio.

Nelle sere d’estate attraversare un piccolo paese silenzioso mi catapulta dentro la casa di mia nonna, dove trascorrevo parte delle mie vacanze. Mi ricordo la lentezza e la tranquillità con cui venivano portate avanti tutte le attività quotidiane, quelle serali in particolare, come se si trattasse di un rito di preparazione alla notte.

Fuori il silenzio della via è rotto solo dallo scandire delle ore del campanile della chiesa. Le tapparelle sono solo leggermente abbassate, in modo da creare intimità ma anche da far entrare la brezza della sera. Prendo la camicia da notte gialla sotto il cuscino e, dopo averla indossata, corro a cercare le vecchie fotografie di famiglia, in bianco e nero. Osservo e tesso il filo dei legami, ricordando i racconti che mi faceva il nonno in altre sere d’estate. La buonanotte è sussurrata, poi si va a controllare che la porta sia chiusa e quando le luci si spengono rimane un lumino azzurro a rischiarare la mia notte di bambina. 

Ogni estate faccio in modo che i ricordi riaffiorino sempre più vivi: non voglio che queste sensazioni sbiadiscano. Non c’è niente di più bello che ricordare come si è stati felici e spensierati da bambini – quando le vacanze sembravano lunghissime e si facevano mille  avventure – e cercare di piantare i semi perché qualcuno abbia una Madeleine simile da mordere, tra qualche anno.   

Ora le estati volano via che quasi non te ne accorgi. Le aspetto tutto l’anno, le pianifico nei dettagli, passo ore e ore a creare gli itinerari dei nostri viaggi. In effetti passo più tempo a ideare e preparare il viaggio di quanto tempo passo poi in viaggio.

Non riesco mai a fare tutto quello che vorrei, ma c’è qualcosa che cerco di fare ogni anno (un pic nic sulla spiaggia al tramonto, preferibilmente in una spiaggia che guarda verso ovest) e c’è qualcosa che faccio sempre anche se non lo vorrei (ritornare molto prima del calare della notte. Che sofferenza quelle poche ore rubate alla vacanza!).

Il cuscino non me lo porto più dietro, ma ancora adesso mi addormento e sogno il prossimo viaggio. 

 

 

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