Passeggiata-intervista con Alessandra Selmi

 Passeggiata-intervista con Alessandra Selmi

Qualche giorno fa abbiamo incontrato Alessandra Selmi  per parlare del suo primo romanzo Terza (e ultima) vita di Aiace Pardon, Baldini&Castoldi.

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L’incontro è stato ricco di chiacchiere e di sopralluoghi. Sì, avete letto bene: di sopralluoghi. #AiacePardon è ambientato a Milano e la descrizione della città è così vera e reale che chi legge il libro, anche se non è milanese, impara a conoscerla e forse anche ad amarla. Noi, invece, che a Milano ci abitiamo e lavoriamo abbiamo voluto ripercorrere le stesse strade di Alex e Bianca, e con chi potevamo farlo se non con Alessandra? 

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Siamo partiti dalla Stazione Centrale, dove tutto ha inizio e poi abbiamo camminato per l’intero pomeriggio, inoltrandoci nelle vie che hanno visto muoversi, conversare, scappare, inseguire anche Aiace, Bianca, Alex e l’assassino.   

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Che cosa ne è scaturito? Quello che segue.  

Alessandra Selmi è tante cose: scrittrice, editor, correttrice bozze, lettrice… In percentuale, quanto sei ognuna di queste?

Sono una coltivatrice di sogni: li semino, li concimo, li proteggo, li raccolgo, me li godo. Semino sui terreni che la vita mi dà, su fertili pianure bagnate dai fiumi come su pendii scoscesi e rocciosi. Essere una coltivatrice di sogni è diverso da essere una sognatrice. Non mi limito a sognare, mi impegno con perseveranza per tradurli in realtà, e poi, tutto sommato, non importa se ci riesco: il bello è provarci. Formalmente mi divido in: 25% correttrice di bozze, 25% editor, 25% lettrice, 25% scrittrice. La mia anima, però, è 100% scrittrice (tenendo presente che un vero scrittore è, per forza, anche un lettore).

Come è nata l’idea del romanzo? E soprattutto un giallo, genere non semplicissimo e che tu, invece, hai affrontato nel tuo libro d’esordio.

Come ho scritto nei ringraziamenti, l’idea mi è venuta un giorno di tre anni fa, alla stazione Termini di Roma, mentre aspettavo il treno che mi avrebbe riportata a casa. Mi passò accanto una senzatetto e io, che avevo appena comprato l’ennesimo Maigret, pensai che quella sarebbe stata una detective perfetta.

Ho scritto un giallo, perché adoro leggerne – è la mia lettura “del tempo libero” – e ho sempre sognato di scriverne uno, pur essendo convinta che non ne sarei mai stata in grado. Volevo scrivere una cosa che mi sarebbe piaciuta leggere, ancora oggi mi stupisco di esserci riuscita.

La barbona protagonista si chiama Bianca, e un po’ stride questo nome se paragonato alla descrizione che ne fai di lei. Perché proprio Bianca, che è sinonimo di candore, pulizia, dolcezza?

Proprio per il contrasto che si crea tra il nome e la sua condizione. Amo i contrasti, fanno riflettere: il mio romanzo ne è pieno, come del resto lo sono io. Per esempio, un senzatetto è, per forza, una persona sporca e repellente dentro, solo perché lo è anche fuori? Insomma, si può essere “bianca” dentro, a prescindere dalle condizioni sociali? Secondo me, sì.

Anche Aiace Pardon ha il suo bel perché. Questo come nasce?

Pardon è un omaggio a uno dei miei scrittori preferiti: Georges Simenon. Il medico del commissario Maigret si chiama Pardon. Poi ho voluto, sempre per amore di contrasti, accostargli un nome altisonante e la scelta è caduta su un eroe dell’Iliade, ma non so bene perché.

Il romanzo è ambientato a Milano, città che conosci bene perché la vivi abbastanza quotidianamente. Per questo l’hai scelta? Perché vicina a te e più semplice da descrivere e analizzare?  

Inizialmente pensavo di ambientarlo a Roma, in omaggio all’incontro in stazione Termini dove è nato tutto. Poi un amico mi consigliò di farlo a Milano “perché la stazione Centrale è più bella”. Senza contare che, conoscendola bene, avrei avuto meno difficoltà a descriverla. A questo si aggiunga il mio amore per una città che ho sempre adorato: scrivere il romanzo è stata un’occasione unica per imparare a conoscerla meglio, a sentirla più mia.

Il cibo per Bianca è molto importante, vuoi soprattutto per la vita che conduce, ma le sue scelte sono sempre particolari e molto ricercate, come se il suo rapporto con il cibo non fosse solo di mera sopravvivenza.

Bianca ama il buon cibo, ma non solo. Ama il buon bere, le buone letture, la buona musica, le buone compagnie. Ama fare nuove esperienze, incontrare gente, stupirsi, imparare, crescere, migliorare. Mangia non solo per saziarsi, beve non solo per dissetarsi, legge non solo per distrarsi, e così via. Bianca – come me – ama la vita: non vive solo per esistere e poi morire. Si gode, per quel che può, questa passeggiata dolorosa che è la vita, attraverso tutto quello che il destino le dà, di volta in volta.

Di Bianca non sveli molto in maniera esplicita: il suo passato è oscurato da un alone di mistero. La cosa è voluta, così da lasciarti aperte nuove possibilità di nuovi romanzi con lei come protagonista?

 La scelta di lasciare il passato di Bianca avvolto nel mistero non è casuale. Dipende, certamente, dal voler creare un po’ di curiosità attorno a un personaggio che spero torni presto nelle librerie, ma anche da una sorta di pudore e di rispetto nei suoi confronti: solo alle persone con cui siamo più intimi raccontiamo dettagli delicati della nostra vita. E allora, se i lettori vorranno continuare a seguirla, lei (forse) si fiderà al punto da svelare qualcosa di più di sé.

Quindi ci sarà un altro romanzo giallo griffato Selmi?

Sto lavorando a un nuovo romanzo che ha per protagonisti Alex e Bianca. Ho praticamente concluso la prima stesura e mi accingo alle ricerche del caso, per affinare i dettagli: che poi significa aggirarmi per la città, osservare e ascoltare, incontrare persone, porre domande. In altre parole, vivere la trama. È la fase più bella della scrittura. Se tutto andrà secondo i piani, ci ritroverete in libreria entro la primavera del 2016.

Che dire? Aspettiamo fiduciosi, perché di questa improbabile coppia ormai ne abbiamo bisogno, ma nel frattempo una bella merenda alla Bianca ce la siamo concessa.

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