L’abito fa il monaco: libri e copertine

La diatriba è aperta e a seconda di dove il libro nasce, intendo in quale tipo di casa editrice, l’avrà vinta una scuola di pensiero o l’altra. Sto parlando di quanto la copertina debba rappresentare il libro che riveste.
Succede spesso che alcuni editori vengano investiti (e stesi) dall’imperversare di un certo tipo di libri in commercio. Non riescono a fare a meno di pubblicarne di simili, e arrivano a pensare che debbano essere tanto simili da imitarne anche la copertina.
E allora ecco faccioni di teenager innamorati (o malati e innamorati), cravatte, perle e via discorrendo farla da padroni sugli scaffali delle librerie…
Poi ci sono gli editori che fanno quel mestiere perché amano le storie, amano i libri e allora vogliono solo la migliore copertina per le loro creature. Copertine che parlino anche di un certo modo di fare editoria, quello autentico.
Tra questi Iperborea
Che cosa rappresentano queste copertine? Be’ rappresentano almeno due cose. Innanzitutto sono la faccia del libro, la prima impressione che il libro ha su di noi, come quando incontriamo qualcuno e gli stringiamo la mano guardandolo negli occhi. Si capiscono molte cose.
La copertina, poi, dice qualcosa anche dell’editore. Dice come prima cosa di quale editore si tratta. Infatti, queste copertine hanno una forte personalità e non possono essere confuse tra loro, portano l’impronta che l’editore ha voluto metterci. E di conseguenza parlano della passione che sta dietro la realizzazione dell’intero prodotto editoriale. Quindi, come lettore, suppongo che ci sia del buono in quei libri. Ne prendo uno, di cui mi ispira il titolo, leggo di che si tratta e decido se comprarlo o no.
Ma anche se non procedo all’acquisto, per questa volta, state certi che la prossima mi avvicinerò di nuovo ai libri di quell’editore. E probabilmente ne comprerò almeno uno.
Allora, editori, meglio un uovo oggi o una gallina domani?