La mia piccola filosofia dei legami
Dei ricordi delle estati della mia infanzia vi ho già perlato qui. Guarda caso… è quasi passato un anno. La fine dell’estate è sempre stata per me fonte di riflessione oltre che l’occasione, da quando sono diventata grande, per far riaffiorare tutto il bello del passato.
Le mie riflessioni di quest’anno ripercorrono gli stessi punti di quelle dell’anno scorso, evidentemente c’era qualcosa di incompiuto, ma oggi sono riuscita a chiudere almeno un piccolo cerchio della mia esistenza.
Per spiegarvelo, parto da lontano…
C’è chi percepisce il fluire del tempo come una bella linea retta che, senza indugi, conduce alla meta. Altri lo vedono come un cerchio o una spirale, una giostra che gira e ci riporta al punto di partenza, o molto vicino, almeno.
Per me, invece, è una catena che si srotola lungo una linea che vorrebbe esser dritta ma non sempre ci riesce. A volte ha bisogno di ritornare un po’ indietro, allora si fa un bel giro all’incontrario e poi ricomincia, piano piano, a percorrere la sua strada. Una catena, dicevo, perché la vita è fatta di tanti episodi, tanti cerchi che ci insegnano qualcosa e danno un senso compiuto al nostro quotidiano. Tutti gli episodi sono legati come gli anelli di una catena, perché niente avviene per caso; magari questi cerchi non si chiudono subito, magari si attorcigliano formando un nodo, che è difficile da sbrogliare, ma nel frattempo la catena continua ad avanzare, se è libera di accogliere nuove esperienze, o si aggroviglia su se stessa, se ha bisogno di recuperare legami perduti.
Basta un lampo, un momento di consapevolezza, per scorgere i punti di connessione della nostra vita, i cerchi della catena. Ed è bello quando uno di questi lampi ci abbaglia e ci fa notare una meraviglia, ci tocca con una piccola scossa per destare la nostra attenzione. Si tratta di pura magia quando riusciamo a vedere davvero. E così a chiudere il cerchio.
Ma non divaghiamo oltre. Domenica faticavo in sella alla bicicletta, con il vento contro, ma ero decisa ad andare al paesino dove viveva mia nonna, quello delle mie estati, appunto; raggiunto un punto molto aperto, privo di barriere naturali, ho scorto davanti a me, all’improvviso, il massiccio del Monte Rosa.
Ecco il lampo: quelle estati passate tra gli ampi orizzonti dei viaggi in roulotte, i cui ingredienti erano libertà e avventura, e gli orizzonti più modesti di un paesino del Piemonte, il cui tempo era scandito dai rintocchi delle campane, riemergono nei miei desideri di scoperta, che si accorciano, adesso, sempre di più. Dopo anni passati alla scoperta del lontano, ora mi piace l’idea di esplorare il vicino, perché, se i vasti orizzonti hanno una suggestione struggente e insegnano ad accettare, capire, accogliere ciò che è diverso da noi, gli orizzonti più piccoli sanno regalare intense emozioni, perché parlano del passato, delle radici, del nostro Io più profondo.
Il cerchio che si era aperto con il tempo lento scandito dai rintocchi delle campane della mia infanzia si è chiuso nella piazza di un paesino della Bretagna, con un’altra chiesa, altre campane, e lo stesso desiderio di un ritmo lento, che si prende cura della bellezza del quotidiano. 1200 chilometri di distanza solo sulla carta.
Ora che ho capito che il vicino e il lontano fanno parte dello stesso orizzonte, che posso trovare l’uno nell’altro e fondere la magia… ora, posso viaggiare felice anche a chilometro zero, perché ogni terra racchiude un passato fatto di legami e connessioni. Tutte da scoprire.