La crisi e una recensione – Paul Torday

 La crisi e una recensione – Paul Torday

I periodi di crisi e il fiorire della letteratura vanno spesso di pari passo. Io non riesco a constatare che questa crisi economica e politica e oserei dire umana, che stiamo vivendo nel nuovo millennio, stia producendo grandi fiori all’occhiello delle Lettere. Niente fermento, niente rabbia… Niente.

C’è un signore, però – un autore – che questa crisi ha deciso di raccontarla in un romanzo, in un tono amabile che solo un signore inglese può avere. Non trovate?

Paul Torday nasce in Gran Bretagna nel 1946, purtroppo passato a miglio vita il 18 dicembre 2013. Due anni fa domani. Un signore che aveva già visto passarsi davanti il ’68, il boom degli anni ’80 con tutto quello  che ci sta in mezzo e che è venuto dopo. Ma parliamo del libro.

Vita avventurosa di Charlie Summers  (elliot edizioni, con la traduzione di Luca Fusari) è un romanzo narrato in tono distaccato, nonostante l’uso della prima persona. Ed è giusto che sia così, come vedremo alla fine. Si tratta della storia di un ex militare britannico, Hector Chetwode-Talbot – Eck per gli amici – che ritiratosi a vita privata accetta un lavoro nel mondo della finanza, reclutato da un vecchio compagno di scuola, Bilbo (cosa non ci ricorda questo nome! Bilbo Baggins e l’avidità legata all’anello). Il compito di Eck è contattare i suoi vecchi amici, quelli che hanno soldi da investire, e allettarli con promesse di immensi guadagni, che la Mountwilliam Partners garantirà grazie alle sue speculazioni finanziarie. E all’inizio le cose vanno a gonfie vele. Nel frattempo la vita di Eck si intreccia, in modo blando, poi più intenso, anche se mai saldamente, con quella di Charlie Summers, un uomo strano e improbabile, che si inventa continui e nuovi business, piccole truffe ai danni del consumatore, con il miraggio di fare i soldi. Poi c’è Henry, un caro amico di Eck, uno di quelli con la casa d’epoca, una famiglia antica alle spalle e un po’ di soldi che li mantengono nell’agio, anche se non nel lusso, permettendo loro di non lavorare. I destini di questi tre uomini – Eck, Charlie e Henry –  si incrociano. Apparentemente non hanno nulla in comune, ma nel profondo non sono poi così diversi. E quando la crisi finanziaria inizia a investire tutto il mondo occidentale, Eck inizia a porsi qualche domanda etica, ma forse per questo è troppo tardi. 

Diecevo, il tono è distaccato, perché alla fine… be’, Eck trova la pace, la tranquillità dopo la tempesta. Si accontenta di vivere modestamente ma felice. È dalle vette della serenità che ci racconta gli avvenimenti di quegli anni, quindi il suo tono è pacato. E poi, non dimentichiamoci che è un gentleman inglese. Dicendovi questo non credo di fare spoiler al romanzo, perché c’è tutto un mondo di relazioni da scoprire, lì dentro, di cui non intendo dirvi nulla.

Questo libro è una sorta di riflessione sull’avidità umana, sulla miopia e sull’ottusità di una società che mette il guadagno facile al primo posto. È importante sottolineare come questo modo di vivere e di governare l’economia crei la cancellazione del rispetto per il lavoro della gente, per l’economia della produzione, l’economia dell’impegno quotidiano, l’economia del creare. 

Un bel libro, piacevole, profondo, accogliente. E così British che non potevo non amarlo.

Consigliato!

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