Destinazione treno

 Destinazione treno

Era la Pasqua del 1980 e a quell’epoca oltrepassare certi confini non era affatto scontato, eppure noi viaggiavamo verso Praga. In treno.

L’idea era nata come un gioco tra mio padre e i suoi amici, come spesso capita quando si è giovani e tutto sembra possibile, ma probabilmente neppure loro credevano sul serio a quel progetto, se papà si dimenticò i nostri passaporti. Quel viaggio iniziò proprio così, con lui che scendeva alla prima stazione e noi che filavamo verso Venezia, incerti se quella sarebbe stata una semplice tappa oppure la fine precoce di un sogno.

Del treno ho tanti piccoli flash. Le lenzuola bianche che scivolavano sul materasso lucido marrone a ogni mio movimento. Il letto a castello a tre piani, di cui dovetti per forza occupare lo spazio più basso, per il rischio di una caduta. Il paesaggio monotono e giallo, come il piatto di minestra che ci servirono nella carrozza ristorante. La sosta notturna, che mi apparve interminabile, alla stazione di Vienna. Mio fratello che correva avanti e indietro lungo il corridoio deserto. Io con il naso appiccicato al finestrino.

E poi fu Praga. La mia prima città attraversata da un fiume; il mio primo hot-dog (ma come, un cane caldo?); il mio primo tragitto in metropolitana; un pomeriggio a letto con la febbre (rivedo la stanza con il mio letto messo ai piedi di quello matrimoniale e una grande vetrata sulla città, un cuscino sconosciuto ma morbido); il castello e… che fatica raggiungerlo con tutta quella salita; una bambola con i capelli corti, un foulard rosso in testa e un grembiulino colorato; le strade di notte, poco illuminate ma con quelle strisce fosforescenti a segnalare le corsie dei tram. E poi quello strano odore che aleggiava nell’aria, quell’ultima notte passata in un albergo un po’ fuori città: la sensazione di disagio che leggevo negli occhi della mia mamma e che mi rimbalzava nel cuore. Faticai ad addormentarmi.  

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Ma in treno sono sicura di aver dormito bene, nonostante l’eccitazione, perché il movimento ritmico, gli scossoni tipici mi provocano una certa sonnolenza, che contrasta con il desiderio di rimanere a osservare il panorama che scorre veloce. Una scelta che mi tormenta sempre.

Molti anni dopo Praga, lungo la tratta Milano – Barcellona, a bordo del Trenhotel Salvador Dalì, non ho avuto alcuna esitazione: lasciai le tendine aperte decisa a godermi il più possibile il panorama notturno di quel pezzo d’Europa.

A Bardonecchia faceva freddo, lo si percepiva osservando il finestrino: fuori tutto era silenzioso e il cartello azzurro e bianco che indicava la nostra sosta era proprio davanti ai miei occhi. Quando ci inghiottì il tunnel del Monginevro mi imposi di assopirmi, le gallerie mi mettono a disagio. Mi risvegliai a Lione, dove sostammo a lungo, proprio sotto una lampione accecante. Quando rialzai il capo dopo un altro riposino, riconobbi le inconfondibili case francesi dell’area del Mediterraneo, basse e dai colori tenui, con le inconfondibili persiane azzurre. Il buio era totale, solo qualche faro di un’auto che ogni tanto sfrecciava in lontananza, impossibile scorgere il mare, se mai ci eravamo già vicini; purtroppo la velocità mi impediva di identificare con precisione le località che attraversavamo ma, giunti a Perpignan, scorsi distintamente il cartello grazie a una frenata improvvisa. Mi allungai felice, pensando che di sicuro avremmo attraversato i Pirenei in galleria e quindi potevo  sonnecchiare ancora un po’.

Il regalo più bello fu la più incantevole alba che abbia mai visto. La ferrovia sembrava soprelevata, forse ci trovavamo su un ponte, nei pressi di una cittadina catalana di cui non ricordo il nome. So solo che in basso potevo scorgere una chiesa costruita nei pressi del mare e, oltre, un sole che spuntava incendiando le acque. Impossibile ricominciare a dormire.

Raggiungere un luogo in treno è già un viaggio: regala emozioni, permette scoperte e, come sempre accade quando si fa una bella esperienza, i ricordi alimentano nuovi sogni.

Per anni, nel soggiorno di casa, è rimasto in bella vista il cartello del nostro treno per Praga, dove erano segnate le città che avevamo attraversato: una mi è rimasta stampata in maniera indelebile nella memoria, perché quando ero bambina proprio non riuscivo a ricordare che avessimo attraversato un luogo con quel nome così lungo e strano, Vindobona. Ero un po’ timida anche in famiglia e così non lo chiesi mai. Scoprii poi che si trattava di Vienna, e quello era il suo antico nome latino. Ogni tanto mi fermavo a fissare il cartello e allora il divano di casa diventava un vagone letto e il mondo si spalancava davanti a me.

Inutile dirvi che a Praga ci potete arrivare comodamente in aereo o, se non amate volare, in auto. Forse, però, vi interesserà sapere che ci sono ancora treni che partono da Venezia e, attraversando Vindobona, raggiungono Praga in circa quattordici ore. Partendo invece da Milano, via Zurigo, sono necessarie un paio di ore in più.

A Barcellona, ahimé, con il Trenhotel Salvador Dalì non ci si può più andare: lo hanno soppresso da qualche anno.

Le tratte europee che si possono percorrere in treno, magari a bordo di carrozze speciali, sono molto più numerose di quanto si possa immaginare. In Spagna viaggia il Transcantabrico; in Scozia il Flying Scotsman; tra Italia e Svizzera è in funzione il Bernina Express, che si inerpica in mezzo alla Alpi regalando ai viaggiatori panorami mozzafiato.

Se poi si vuole non solo assaporare il lusso ma anche provare un pizzico di brivido, si può ancora viaggiare sull’Orient Express, proprio lungo la tratta percorsa da Hercule Poirot in Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie. Il treno originale ha terminato le sue corse, dopo aver subito negli anni varie riduzioni e cambiamenti di percorso, ma una compagnia privata effettua un servizio di lusso su carrozze degli anni Venti e Trenta, da Londra e Parigi per Venezia: il suo nome è proprio Venice Simplon Orient Express.  

 

L’immagine di copertina è tratta da wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Orient_Express

 

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