Contrasti bretoni: luce e ombra

 Contrasti bretoni: luce e ombra

Luce e ombra è uno dei contrasti attraverso i quali mi piace descrivere il mio viaggio in Bretagna.

Quando ho scelto la meta che doveva sostituire la Norvegia, avevo pensato al mare in burrasca, alle scogliere, ai fari a picco sul mare, non avevo riflettuto sulla luminosità che avrebbe accompagnato le mie serate. Niente a che vedere con il sole di mezzanotte, ma ugualmente un fenomeno dall’effetto tangibile.

Sul fisico, innanzitutto. Già la seconda sera, ho tenuto aperte tende e persiane per poter scrutare il cielo, ancora blu chiaro, mentre scivolavo nel sonno. Non le ho mai chiuse, in nessuna camera in cui ho soggiornato. Mi è capitato persino, in una stanza con le finestre rivolte a ovest, di avere l’impressione che una sottile striscia di orizzonte si mantenesse più chiara durante tutta la notte. Ma chissà, potere della suggestione, forse… 

Col passare dei giorni, è subentrata una sorta di euforia, di energia, che mi invogliava a stare all’aperto, anche a dispetto della pioggia, a godere della luce il più possibile. Avevo l’impressione che la giornata si dilatasse, di avere più tempo per visitare i luoghi. 

In questo particolare mi sbagliavo completamente. Ore di luce più numerose non corrispondono a una apertura serale più dilatata di musei, negozi, ristoranti. Gli orari sono molto meno flessibili rispetto a quelli cui siamo abituati noi gente del Mediterraneo. 

I negozi chiudono generalmente intorno alle sette, musei e altri luoghi di interesse turistico anche prima, i ristoranti iniziano a servire alle sette e mezza. Converrete anche voi che, con un dopocena così luminoso, l’ultima cosa che si ha voglia di fare è rintanarsi sotto una coperta.

Aber wrac'h intorno alle 21

Aber wrac’h intorno alle 21                                                                   

Nota dolente, non sono riuscita a vedere neppure un tramonto. C’era sempre qualche nuvola a guastare lo spettacolo.

 

La maggiore luminosità era così evidente che, appena ci siamo spostati di un centinaio di chilometri più a est rispetto alla punta occidentale della Bretagna, ci siamo accorti di un cambiamento: il sole tramontava prima; la notte giungeva più velocemente; alle undici era tutto buio. Completamente.

All’improvviso, la prima notte, dalle tende tirate, mi sono accorta che si erano spente le luci della piazza del paese. Niente pioggia o temporale, un buio pesto però, reso ancora più suggestivo dal fatto che la piazza in questione ospitava la chiesa e il cimitero.

La chiesa di Plounez al tramonto

La chiesa di Plounez al tramonto

Il mattino successivo abbiamo scoperto che, nei paesi francesi (o bretoni? Confesso di non aver chiesto), durante la notte l’illuminazione notturna viene spenta per un discorso di risparmio energetico e soprattutto perché: “A che servirebbe tenere tutto illuminato?”

Già a che serve? Di fronte a quella domanda ho visualizzato l’immagine della Pianura Padana in versione notturna, vista dal satellite. Illuminata a giorno.

Lo sconcerto per le diverse abitudini era ben visibile sui volti di entrambi gli interlocutori.

Ma si viaggia anche per questo: scoprire un paesaggio diverso, una lingua diversa, persone diverse e abitudini diverse.

Una luce diversa e un diverso buio.

E si viaggia anche per mettere alla prova e sviluppare la propria capacità di adattamento.

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