Alexander McCall Smith: amore o infatuazione?
Sono una persona piuttosto impulsiva nei “sentimenti”, nel senso che subito, a pelle, sviluppo impressioni – positive o negative – su persone che non conosco. Lo stesso mi succede con gli autori.
Alexander McCall Smith mi è piaciuto a patire dal nome. Le copertine di Guanda, poi, hanno contribuito ad alimentare il mio interesse. Il fatto che scriva dei gialli è solo la ciliegina sulla torta.
Così gli sono girata intorno per anni, col desiderio di leggerlo, ma concludendo ogni volta che non fosse il momento giusto. E come succede con le infatuazioni a cui non viene subito data una chance, quando alla fine ho ceduto al mio interesse, non è stato esattamente un appuntamento coi fiocchi.
Il libro con cui ho fatto la sua conoscenza è Le affascinanti manie degli altri, ultimo appuntamento (in traduzione) con la detective per caso Isabel Dalhousie, titolare di una rivista di filosofia. Questo fa di lei una persona molto riflessiva, che filosofeggia su svariate questioni della vita, con uno spirito, però – a mio avviso – un po’ troppo buonista. Sarà che preferisco un ottimista cinismo (sempre che esista una cosa del genere), una donna più decisa, più categorica, se non nel pensiero, almeno nelle manifestazioni del pensiero. E no, non parlo di incoerenza o falsità, parlo di impulsività del sentire e razionalità dell’agire. Filosofeggiare mi piace e mi piace che lo facciano gli altri, ma poi bisogna agire. E arriviamo, appunto, all’azione. Non cerco azione in un libro giallo, non nel senso cinematografico del termine, ma almeno mi aspetto avvenimenti. Ecco, qui di avvenimenti ce ne sono pochi, il mistero non è poi così misterioso e gli vengono dedicate ben poche pagine.
Come giallo, quindi, non mi è piaciuto. Ma forse erano sbagliate le mie aspettative. Perché per altri aspetti il romanzo, invece, sì. Il filosofeggiare di Isabel, la porta a produrre pensieri interessanti come:
“Veniamo sfigurati dalla rabbia, perciò dobbiamo evitarla. Dobbiamo, per quanto ci sentiamo ribollire.”
“Quell’amica, una volta, aveva detto a Isabel che ci puniamo per ogni sorta di ragione, ma la maggior parte delle volte non ce lo meritiamo. «In effetti» aveva risposto Isabel, «mi chiedo chi davvero meriti una punizione, in ogni caso. A che serve punire una persona? Non si ottiene altro che aumentare il dolore del mondo.»”
“Era come se l’animo umano si fosse ristretto, in qualche modo, diventando più meschino, come un indumento divenuto più piccolo, più costrittivo per essere rimasto a mollo troppo a lungo.”
Ecco, considerazioni interessanti, tutte riguardanti la bontà, in qualche modo. Tutte un po’ a sfondo buddista (mia lettura personalissima), che accendono in me lampadine di riflessione e riconoscimento (nel senso che riconosco pensieri, atteggiamenti, che ho già incontrato).
L’aspetto che ho apprezzato di più del libro, però, è Edimburgo. Le vie, i luoghi reali che si possono visitare – come il Café St Honoré di Thistle Street Lane, ristorante francese che, non so voi, ma io devo assolutamente provare.
Edimburgo è una delle città più affascinanti che conosca, e respirarla in un libro vale per me il libro.
“Amo questo paese, pensò lei, lo amo perché è morbido e verde e il cielo è un anfiteatro di bianchi e di grigi, così bello da spezzarti il cuore in tutte le circostanze.” E una dichiarazione così alla Scozia vale la mia fiducia in McCall Smith. Gli darò una seconda possibilità, dedicandomi, magari, alla serie 44 Scotland Street.